Quando mi capita di sfogliare un libro di spionaggio, il cassetto della memoria, come più recentemente ridefinita dagli studiosi e ripartita in memoria stabile e memoria labile, con il compito, la seconda, di mantenere solo i ricordi base, viene spontaneo riesumare da quella definita stabile nomi e letture di scrittori che sul tema spionaggio o controspionaggio hanno basato le loro opere.
Il compito non sembra poi così difficile, visto che Sherlock Holmes, Maigret e Agata Christie, solo per citare i nomi più comuni al mondo, non possono essere dimenticati per le notti insonni passate avvinti dalle loro letture nè per i film che registi e attori non meno grandi e famosi hanno riproposto su metri e metri di pellicola. Tuttavia, raccontare questo tipo di vicende intricate non può essere prerogativa di pochi. Questo accade appunto al neo scrittore poeta Michele D’Alessandro, il cui libro, “DUE”, mi ha rinnovato emozioni, per l’avvincente susseguirsi dei fatti, e un forte interesse, per il bello stile (raro oggi, per via dell’insensata mania del nuovo), per l’impeccabile chiarezza del contesto e per le situazioni che stimolano il pensiero e fanno discutere la mente.
L’incipit può apparire semplice e leggero, per poi accorgerci subito dopo che questa prima sensazione non è una negatività, ma una genialità dell’autore, che impone una lettura che ti avvince e coinvolge gradualmente, ma inesorabilmente.
Il linguaggio, chiaro e gradevole, è proprio di chi conosce la nostra lingua, che non va storpiata con stravaganti abusi, ma tutt’al più può ammettere una imbiancatura (come si usa per una stanza da rinfrescare), né la storia va complicata con le manie del nuovo, che portano all’esame analitico di miriadi di personaggi che bisognerebbe annotare su un taccuino, al fine di non smarrirsi durante l’evolversi degli eventi. La trama, nel caso del nostro autore, scorre fluida e nitida.
Il canovaccio è inusuale, almeno per me. L’autore dipana il filo che porterà al compimento dell’opera grazie ai due protagonisti: l’uno, Mike Oldano, con il compito di redimere complotti irredentisti, e l’altra, Fedora Ricasoli, alla ricerca di una plausibile causa che possa appena giustificare l’interruzione di un amore appena nato, ma che sembrava assolutamente sincero.
Questi due personaggi, gestiti con maestria, si alternano l’uno all’insaputa dell’altro, per ritrovarsi, una volta ricomposto il percorso, grazie alla caparbietà di Fedora, avvocato dalle doti non comuni.
Insomma, dopo aver letto una storia di tal genere, viene istintivo ripetere l’espressione che usiamo quando ci si trova di fronte a un mazzo di fiori finti: sembrano veri, così come la storia dell’autore che, per l’appunto, è ideata e tessuta in modo tale da sembrare vera.
Ma, al di là della sapiente trama, sento doveroso aggiungere che l’opera esce dal solco della conclamata immoralità della società moderna, entro cui non pochi scrittori sembrano addirittura annegare. Di contro, l’autore, esalta il dovere e l’impegno assoluto nel rispetto della propria professione che Fedora accetta di eseguire con determinazione, così come il protagonista maschile, Mike, pronto a mettere in gioco incondizionatamente la sua vita, pur di adempiere al suo dovere.
Il libro di D’Alessandro è un romanzo di grande insegnamento riguardo al comportamento sociale dei giovani, e non solo. Ed è per questo che mi sembra doveroso rendermi promotore di divulgare la sua opera, indicandolo come mentore assoluto di questa nuova linea di controtendenza.
Augusto Giordano
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